Giovanni's house
Monday, May 23, 2016
Metabolismo del collageno
Sunday, May 8, 2016
L'uso degli oppiacei nella terapia del dolore cronico non oncologico
Sunday, April 3, 2016
Nuove strategie terapeutiche nella trombosi venosa profonda
La tromboembolia venosa è la terza principale causa di morte vascolare, con una elevata incidenza specie tra gli anziani.
L’incidenza aumenta dall’ 1 su 10.000 persone per anno tra le persone con meno di 40 anni a quasi 1 per 100 persone per anno tra gli ottantenni e ultra ottantenni ( 80 anni ).
Complessivamente più di un terzo dei casi di TVP si presenta in persone con piu’ di 60 anni.
Si stima che all'incirca l'embolia polmonare sia responsabile di 100.000 - 180.000 morti per anno , pur essendo la causa di morte più facile da prevenire nei pazienti Ospedalizzati.
I sopravvissuti all'embolia polmonare spesso hanno come feliquati una ipertensione polmonare cronica tromboembolica o una sindrome postrombotica.
La prima si manifesta con dispnea, mancanza del respiro, specie sotto sforzo; mentre la sindrome postrombotica anche chiamata " insufficienza venosa cronica " è caratterizzata dalla presenza di danno delle valvole di Valsalva presenti nei vasi venosi degli arti inferiori, con conseguente rigonfiamento a carico delle caviglie e del calcagno e dolore urente alle gambe in toto, in particolare dopo prolungata stazione eretta. In situazioni di grave compromissione del letto vascolare venoso possiamo anche avere ulcere cutanee specialmente localizzate a livello dei malleoli laterali.
La formazione di trombi a livello arterioso coinvolge principalmente l’omeostasi endoteliale, mentre la formazione di trombi a livello venoso coinvolge principalmente l’omeostasi piastrinica e dei fattori o cellule circolanti, monociti, fattori della coagulazione, fattore tissutale, senza che necessariamente si debba pensare a danno-attivazione endoteliale come primum movens.
Eziologia
Le nuove conoscenze di fisiopatologia molecolare hanno permesso di chiarire importanti concetti che stanno alla base del processo di formazione del trombo.sia questo a livello venoso o arterioso
Il concetto basilare è naturalmente quello che vede le piastrine circolanti che sono reclutate sulla superficie del vaso danneggiato, dove esse diventano il principale componente dello sviluppo del trombo. Inoltre i fattori della coagulazione ed in primo luogo il “ fattore tissutale “ prendono pare alla formazione a partire dal fibrinogeno circolante dei monomeri fibrina.
Da un lato fattori che contrastano la formazione dei trombi sono presenti sulla superficie endoteliale e sono:
la produzione di monossido d’azoto ( NO )
Il rilascio di prostacicline
la formazione di enzimi ectonucleotidosici ( CD39 )
Cattura e blocco delle piastrine sulla superficie del vaso danneggiata.
Un ruolo molto importante è svolto dall’esposizione sulla superficie del vaso leso dei monomeri di collageno di tipo III presenti nella membrana basale dei vasi, oltre che dei restanti componenti della matrice extracellulare.
Il collageno tipo III in grado di legare quando esposto ai componenti del plasma al “ fattore di von Willebrand “ attraverso l’interazione tra la glicoproteina piastrinica VI con il collageno e del complesso piastrino formato dalla glicoproteina Ib-V-IX con il fattore di von Willebrand.
Interazione tra le piastrine
La conglomerazione di differenti piastrine è invece mediata dal legame dellì’integrina alfa IIb beta III con il fibrinogeno ed il fattore di von Willebrand.
Attivazione piastrinica
Una ulteriore via dia attivazione pietrifica è però giocata dalla sintesi del fattore tessutale.
Tale fattore tissutale è un analogo di recettori per le citochine presente sulla superficie cellulare sia monocitica, pericitica che endoteliale che è attivo se legato al fattore VIIa. Il fattore tessutale circola libero nel plasma formando microparticelle a struttura vescicolare del diametro inferiore a 100 nm. Tali microparticelle durante la formazione del trombo sono in grado di legare una selectina, chiamata selectina P, espressa dalla piastrine attivate, tramante un controrecettore della selectina P presente sulle microparticelle chiamato PSGL-1.
Il fattore tessutale esiste in due forme una latente che non ha attività procoagulante ed una attiva con attività coagulante. E’ probabile che la dimerizzazione, la riorganizzazione lipidica accanto alla trasformazione della struttura allosterica in particolare dei legami disulfuro presenti nel fattore tessutale influiscano sulla funzione della proteina. L’enzima PDI rilasciato dalle piastrine e dall’endotelio attivato è in grado di ossidare i radicali tiolici presenti nella forma inattiva del fattore tessutale e formare ponti disulfuro in grado di spiegare il cambiamento conformazione che permette al complesso fattore tissutale- fattore VIIa di legare e di solo con l’attivazione del fattore VIII e del fattore V, attivare il fattore X.
L’enzima chiamato “ protein disulfide isomerasi ( PDI ) è anche necessario per la rottura e la formazione di nuovi ponti disulfuro tra i residui di cisteina presenti sull’integrina piastrinica alfaIIb beta 3. Tale reazione biochimica è necessaria in quanto le piastrine legate all’endotelio subiscono un transizione di conformazione che aumenta l’affinità delle piastrine ai suoi legandi ( fibrinogeno e fattore di von willebrand ). Non è ancora chiaro il vero ruolo e l’importanza esercitata per l’adesione piastrina dal collageno e dal fattore di von Willebrand, ma è certo che quest’ultimo deve legarsi ad un’altra integrino chiamata glycoproteina Ib.
Si formano quindi dei veri e propri complessi sinaptici tra le differenti piastrine conglomerate nell’intento di creare uno spazio interstiziale protetto interpiastrinico che stabilizza il trombo.
Tuttavia per formare trombina in quantità sufficiente sono necessari anche il fattore VIII e il fattore V che vengono tuttavia attivati dalla piccola quantità di trombina formata nei primi step di formazione della trombina localmente con formazione del fattore VIIIa e fattore Va.
La trombina è così in grado di scindere il fibrinogeno in fibrina formato un complesso enzimatico con fattore VIIa e successiva cattura delle piastrine con contemporanea lisi sulla superficie piastrina del suo recettore chiamato Protease Activated Receptor 1 ( Par1 ), effettore dell’attivazione pastrinica.
E’ interessante notare che in ratti non in grado di sintetizzare il recettore per la trombina Par4 riescono ugualmente a formare fibrina, anche se la trombina non si puo’ legare al recettore Par1. Tali dati suggeriscono che esistano altre enzimi proteolitici in grado di svolgere l’azione della trombina.
Le alterazione patofisiologiche che colpiscono gli arti affetti da TVP includono la cosiddetta Triade di Virchow:
infiammazione
Ipercoagulabilità
danno endoteliale
Tali modificazioni della emoreologia vascolare venosa portano ad attivazione di piastrine attivate, che rilasciano microparticelle. Tali microparticelle contengono i mediatori proinfiammatori in grado di legare i neutrofili, e stimolare il rilascio da parte di questi di materiale facente parte del nucleo cellulare e pertanto formare una rete extra cellulare chiamata " traps " extra cellulare di derivazione neutrofila.
Tali formazioni di materiale del nucleo di neutrofili contengono istoni in grado di stimolare l'aggregazione piastrinica e promuovere la generazione di trombina piastrino dipendente.
I trombi di origine venosa si formano e aumentano di dimensioni nel contesto di stasi venosa, bassa tensione di ossigeno, e aumento della trascrizione genica proinfiammatoria.
Stati protrombotici
Esistono situazione in grado di favorire la formazione di trombi venosi; fortunatamente tali situazioni sono abbastanza rare e sono rappresentate da:
mutazioni geniche del Fattore V di Leiden autosomico dominanti che causano resistenza a fattori coagulanti endogeni
mutazioni geniche della Proteina C in grado normalmente di attivare il fattore V ed il fattore VIII della coagulazione
mutazioni geniche del gene codificante per la protrombina, in grado di aumentare la concentrazione di protrombina.
Deficit di Antitrombina III normalmente inibitori della coagulazione
Deficit di Proteina S normalmente inibitori della coagulazione
Sono abbastanza rare e associate a TVE ( tromboembolia venosa )
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è la più comune delle forme acquisite trombofiliche ed è associata con trombosi sia arteriosa che venosa.
Fattori di rischio per la formazione di trombi venosi sono pure il fumo di sigaretta, viaggi aerei di lunga durata, inquinamento atmosferico, bronchite cronica ostruttiva, gravidanza, contraccettivi orali, terapia estrogenica sostitutiva.
Embolizzazione
Quando un trombo venoso si stacca dalla parete della vena dove si è formato, forma un embolo che è destinato a percorrere la circolazione venosa e pertanto raggiunge la vena cava, l'atrio di destra, e il ventricolo di destra. Da qui passa nel circolo polmonare arterioso, causando quindi la " Embolia Polmonare " acuta. Tali trombi talvolta attraverso un forame ovale pervio a livello atriale o un difetto del setto inter atriale possono embolizzare nel letto vascolare arterioso.
Diagnosi Clinica
La diagnosi clinica della Trombosi Venosa Profonda è caratterizzata dal principale sintomo rappresentato dai “ crampi “ o da “ dolore acuto al calcagno “ che persiste e si intensifica nel corso di alcuni giorni. Sono stati sviluppati degli “ score “ di stima della probabilita’ clinica di Trombosi Venosa Profonda e di Edema Polmonare che tengono conto sia della sintomatologia accusata dal paziente che dei fattori di rischio presentati dallo stesso.
Tra questi score quello di Wells’ è forse quello piu’ utilizzato e piu’ validato clinicamente e permette di categorizzare i pazienti sospetti di TVP in tre gruppi:
con Wells 1 : probabilita’ basa di TVP
con Wells tra 1 e 2: probabilità media di TVP
con Wells 3 : probabilita’ elevata di TVP
Diagnosi precoce con Score di Wells
cancro in fase attiva 1
Paralisi e/o paresi o immobilizzazione prolungata 1
Piccola chirurgia > 3 giorni 1
Grossa chirurgia < 4 settimane 1
Localizzata dolorabilità del sistema venoso profondo 1
Gonfiore di tutta la gamba 1
Gonfiore del calcagno > 3 cm 1
Pitting edema 1
Vene superficiali collaterali 1
Storia di trombosi venosa 1
Età 1
Sesso femminile 1
Diagnosi alternativa - 2
Punteggio di Wells per TVP : punteggio > 3 probabilità alta
punteggio 1-2 probabilità media
punteggio 0 probabilità bassa
Il passo successivo è il dosaggio del D-dimero del fibrinogeno nel plasma e l’ecografia a compressione (CUS). Tralasciando per ora i problemi connessi con l’interpretazione corretta dei valori ottenuti dal dosaggio il cui valori di cutoff non sono ancore per nulla chiari essendo fortemente influenzati dal sesso e dall’età del paziente, si puo’ affermare a grandi linee che per i pazienti individuati come moderata di TVP il passaggio successivo dovrebbe essere il dosaggio di un marker affidabile dell’avveduta trombosi venosa ( per ora i prodotti di degradazione del d-dimero ), mentre i pazienti individuati a probabilità elevata di TVP possono ovviare al dosaggio del D-dimero e devono essere sottoposti a ecodopler degli arti inferiori semplificato come test di compressione in due punti significativi : alla femorale superficiale inguinale ed a livello della vena poplitea ( CUS test ).
Abbiamo già accennato alla scarsa attendibilità del dosaggio del D-dimero per la diagnosi di TVP. Attualmente il dosaggio è gravato da una elevata sensibilità e da una scarsa specificità, per cui da un gran numero di falsi positivi.
Abbiamo dei cult-off che variano con l’età ed il sesso essendo piu’ elevato con l’aumentare dell’eta’ e nel sesso femminile.
I falsi positivi del D-dimero sono in effetti un problema di laboratorio importante. Molte patologie risultano positive al dosaggio del D dimero, anche la stessa gravidanza, tuttavia nel dubbio di una TVP, un valore di D dimero non disabile e pertanto negativo esclude la presenza della trombosi venosa stessa.
Valutazione clinica del rischio trombotico
Tramite sistemi computerizzati di valutazione del rischio trombotico i pazienti sono assegnati a profilassi anti trombotica.
La valutazione del rischio viene stratificata su tre categorie:
rischio basso < 5%
rischio medio 5 -10 %
rischio elevato > 10 %
Fattori di rischio trombotico maggiori:
cancro
pregressa tromboembolia venosa
ipercoagulabilità : fattore V di Leiden, anticorpi antifosfolipidi lupici e anticardiolipina
Fattori di rischio trombotico medi:
interventi chirurgici
Fattori di rischio trombotico minori:
età avanzata
obesità
allettamento
utilizzo di terapia ormonale sostitutiva o anticoncezionale.
Terapia medica
La terapia anticoagulante è indicata nel trattamento del pazienti con trombo embolia venosa (VTE) per ridurre la probabilità di ricaduta di trombosi venosa profonda (TVP) come pure di embolia polmonare (EP).
Più di una generazione di medici hanno avuto a che fare con il trattamento della TVP acuta che utilizzava la terapia anticoagulante per un breve periodo di tempo, usualmente 3.5 giorni ( bridging therapy ) con eparina per via parenterale a basso peso molecolare che veniva sovrapposta al vero e proprio trattamento con antagonisti della K come la warfrina.
Visto la rapida espansione delle conoscenze sulla eziopatogenesi ed il trattamento della tromboembolia venosa, risulta importante ed essenziale considerare attentamente come trasportare i nuovi dati scientifici nella pratica clinica.
Gli anticoagulanti (NAO) diretti hanno diversi vantaggi farmacologici nei confronti degli antagonisti della vitamina K, tra i quali una più ampia finestra terapeutica, un inizio di azione rapido, e una emivita più breve che è compresa tra le 7 e le 14 ore in individui sani. Gli anticoagulanti orali diretti sono somministrati a dosi fisse agli adulti senza necessità di monitoraggio con esami di laboratorio; pertanto sono più convenienti della warfrina che richiede il monitoraggio dell' International Normalized Ratio e periodici aggiustamenti del dosaggio. In studi randomizzati con un buon monitoraggio del dosaggio della warfrina, gli anticoagulanti diretti si sono dimostrati non inferiori alla warfrina nel ridurre le recidive di eventi trombotici e addirittura hanno ridotto del 28 % gli episodi di sánguinamento maggiore e del 50% le emorragie intra craniche e fatali.
Diversi studi clinici hanno esaminato l’efficacia dei nuovi anticoagulanti orali, che agiscono inibendo la trombina o il fattore Xa della cascata della coagulazione.
Purtroppo il sistema nazionale italiano richiede che la prescrizione di tali farmaci per il trattamento della TVP venga effettuata solo dopo valutazione internistica specialistica o di chirurgo vascolare e previa redazione di Piano Terapeutico della validità di 6 mesi al massimo. Non così avviene per il trattamento post chirurgico in seguito a protesi d'anca o del ginocchio dove non è necessario piano terapeutico.
Nello studio RE_COVER i ricercatori nel 2009 hanno valutato la non-inferiorità di un inibitore diretto della trombina, chiamato DABIGATRAN, sulla WARFARINA studiando 1274 pazienti affetti da trombosi venosa profonda o embolia polmonare. I pazienti erano inizialmente trattati per almeno 5 giorni con anticoagulanti per via parenterale ( eparina frazionata ) e susseguentemente ricevevano o DABIGATRAN o WARFARIN.
Non erano presenti differenze significative tra i due gruppi negli obbiettivi primari composti dello studio che consideravano l’incidenza del ricorso di eventi di trombo embolia venosa sintomatica o decessi causati dalla trombo embolia dopo 6 mesi di terapia.
Non c’erano differenze significative negli episodi di sanguinante maggiorata i gruppi, sebbene l’incidenza di sanguinolento maggiore o di sanguinamento minore clinicamente rilevante era ridotto nei pazienti trattati con DABIGATRAN,
DABIGATRAN, un inibitori diretto del trombina, è stato approvato per l’uso negli Stati Uniti nel 2010 per la prevenzione dello stroke nei pazienti con fibrillazione atriale; tale procedimento è stato rapidamente seguito dall’approvazione degli inibitori diretti del fattore Xa della coagulazione come il RIVAROXABAN, l’APIXABAN e l’ENDOXABAN nel giro di 5 anni.
Nello studio EINSTEIN-DVT, sono state paragonate l’efficacia clinica e la sicurezza del RIVAROXABAN, un inibitori orale del fattore Xi della coagulazione, con gli antagonisti della vitamina K in 3.449 pazienti da tromboembolia venosa profonda acuta sintomatica. I pazienti venivano divisi in due gruppi scelti a random, un gruppo trattato con dosi fisse di RIVAROXABAN, e un gruppo trattato con antagonisti della Vitamina K preceduta da una “ bridging therapy “ di 3 -4 giorni con eparina frazionata a basso peso molecolare.
Il Rivaroxaban non è risultato inferiore agli antagonisti della vitamin K per prevenire la tromboembolia venosa. Nessuna differenza significativa è stata osservata negli eventi primari di sanguinamento maggiore or minore clinicamente rilevanti.
Nel complesso tali evidenze scientifiche indicano che tali nuovo anticoagulanti orali sono efficaci e sicuri come la WARFARINA o antagonisti della vitamina K similari. Inoltre tali farmaci hanno dimostrato un profilo di sicurezza farmacologica simile se non addirittura superiore, e pertanto possono essere considerati una sicura alternativa alla WARFRINA nel trattamento della tromboembolia venosa acuta.
La spinta per lo sviluppo di tali farmaci proviene dal massiccio uso che si è fatto in questi anni di farmaci anticoagulanti disponibili anche per il trattamento ambulatoriale, vale a dire delle eparina frazionate sottocutanee e degli antagonisti orali della vitamina K. sebbene tali farmaci rappresentino un importante sviluppo della terapia anticoagulante, dubbi sul loro effettivo utilizzo in terapia provenivano dall’assenza, fino a poco tempo fa di antagonisti o antidoti che potessero contrastarne l’azione in caso di sovradosaggio.
Sebbene l'attività della warfrina sia prontamente bloccata dagli analoghi della Vitamina K, dal plasma fresco, da concentrati del complesso protrombinico, gli eventi emorragici maggiori che avvengono in pazienti trattati con warfrina spesso portano a morte. Circa il 10% dei pazienti ospedalizzati per emorragia dovuta all'uso di warfrina muoiono in 3 mesi, e la mortalitá tra i pazienti con emorragia intra cranica di può considerare pari al 50%. L'alta mortalità è in parte attribuitile alle condizioni coesistenti in tali pazienti. Dati sperimentali suggeriscono che agenti non specifici come concentrati di complessi protrombinici o il fattore VIIa ricombinante possono ridurre l'effetto anticoagulante degli anticoagulanti diretti in vitro, in modelli animali e in volontari umani. D'altra parte tali sostanze sono di non provata efficacia nel migliorare l'emostasi in pazienti con emorragia grave e trattati con anticoagulanti diretti possono comportare un aumento del rischio di trombosi.
La necessità di antidoti d’altra parte era stata prontamente avvertita. Due candidati come farmaci antidoti , ADNEXANET ALFA e CIRAPARATANG sono in svariato stadio di sviluppo, e nell’Ottobre del 2015 , IDARUCIZUMAB, un anticorpo monoclinale umanizzato grado di riconoscere come antigene legare il DABIGATRAN, è stato prontamente approvato dall’FDA per l’utilizzo negli USA.
l’ANDEXANET alfa rappresenta un eccitante nuovo approccio all’inibizione dei farmaci anticoagulanti, La tecnologia ricombinante genetica è stata utilizzata per creare una molecolare simile al fattore Xa modificata con una mutazione nel sito catalitico in grado di abolire l’attività procoagulante del fattore Xa ma mantiene la struttura nativa. Ciò permette agli inibitori del fattore Xadi legarsi con con grande affinità ed effettivamente neutralizzare la loro attività anticoagulante.Le dimensioni della molecola sono inoltre state sviluppate in modo da prevenire l’interazione con altri fattori della coagulazione.
Tale molecola è pertanto in grado di legarsi sia direttamente agli inibitori del fattore Xa, come il RIVAROXABAN, APIXABAN, EDOXABAN sia agli inibitori del fattore Xa che agiscono tramite l’antitrombina vale dire al FUNDAPARINUX ed alle EPARINA DI BASSO PESO MOLECOLARE.
Nel 2000 al 2010 trials clinici hanno dimostrato ed evidenziato le linee guida per il trattamento delle malattie vascolari periferiche arteriosclerotiche e della trombosi venosa.
La prossima decade dal 2010 al 2020 ci aspetta con nuove scoperte nel trattamento volto a ridurre il rischio di nuovi eventi arteriosclerotici, di inibire la crescita degli aneurismi aortici, migliorare i sintomi delle malattie arteriose periferiche, e migliorare la prognosi dei pazienti affetti da trombosi venosa ed embolia polmonare.
Possibili vie da investigare sono in particolare l’interazione delle microparticelle contenti il fattore tessutale rilasciato dai macrofagi o dalle cellule tumorali e le piastrine. In particolare si potrebbe ipotizzare l’inibizione del legame tra la selectina P e il recettore PSGL-1 nel tentativo di bloccare l’accumulo delle microparticelle derivati dai monoliti nello sviluppo del trombo. Altro punto debole potrebbe essere il blocco del fattore XI. Tale razionale terapeutico sarebbe in particolare utile nel caso di integrità dell’endotelio e nelle forme di trombosi legate al cancro.
La terapia ideale per la trombosi venosa profonda dovrebbe essere in grado di inibire il processo di formazione del trombo senza alterare l’emostasi
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Tuesday, March 27, 2012
Understanding mineralization process: the role of TNSALP and Matrix Vescicles.
Alkaline phosphatases
Alkaline phosphatase (ALP) was discovered in 1923 by Robert Robinson in young rats and rabbits within ossifying bone and cartilage. However , never Robinson referred to this enzyme as “alkaline” phosphatase, term introduced only later. For most of the past eight decades physicians have recognized the important clinical insight that can come from measurement of ALP activity in serum. Detection and monitoring of hepatobiliary and skeletal disease are generally possible. In fact, since 1930 ALP detection and quantification in serum has been routine in hospital laboratories.
Nevertheless, the physiologiocal function of ALP, is largely unknown.
At the end of 1960s, electron microscopy helped to rejuvenate Robinson’s hypothesis, when the earliest site of hydroxyapatite crystal deposition in the developing skeleton was noted by E. Bonucci and HC Anderson to be within novel extracellular structures called matrix vescicles (1969). These vescicles were found to be rich in ALP activity and later they have been demonstrated to be replenished by many enzymes and constituents such as:
- Inorganic pyrophosphatase (PPi-ase)
- ATPase
- phospholipids
- polysaccarides
- glycolipids
During early phase (primary) of mineralization , hydroxyapatite crystals appear and grow within these structres. Soon after , the vescicles rupture and extravescicular (secondary) mineralization occurs as crystal propagation continues.
Actually the proposed biological roles of ALP in mammals are numerous including:
- hydrolysis of phosphate esters to supply the nonphosphate moiety
- transferase action for the synthesis of phosphate ester
- regulation of Pi metabolism
- maintenance of steady-state levels of phosphoryl metabolites
- action on phoshoprotein pshosphatases
-
At plasmamembrane level it has been proposed that ALP can function not only such as an active P transporter but also for:
- calcium muvement regulator
- Na+/K+ exchange regulator
- Fat exchange
- Protein exchange
- Carbohydrate exchange
Interestingly sequence analysis of ALP demonstrated that this enzyme can be coupled with other proteins, for example adhering to collagen, and it has been suggested that this physical property of ALP should be considered when we examined the action for example of ALP on skeletal matrix such as phosphoprotein phosphatase.
It has to be outlined that ALP function mainly such as a cell surface enzyme, but at some stages during embryo formation ALP may acts also intracellularly.
The role of ALP in skeletal mineralization should be resumed considering ALP as “inhibitor” of pyrophosphate deposition (a potent inhibitor of hydroxyapatite formation):
- Locally increase P concentration
- Destruction of inhibitors of hydroxyapatite crystal growth
- Transport of P
- Calcium binding protein ( used by cells such as uptake enzyme for calcium)
- Ca++/Mg++ ATPase
- Tyrosine specific phosphoprotein phosphatase
Recently these different activities previously attribute only to Alkaline Phosphatase activity, have been studies in more details.
It is interesting to note that in normal adolescents 13 to 14 years old pyridoxal-5-phosphate concentrations have been reported to be approximately 40 nmol/L, also if this developmental stage is associated with high alkaline phosphatase activity. Low levels of Pyridoxal-5-phosphate are also observed in patients with hypophosphatemic rickets and the researchers attributed this data to increased activity of alkaline phosphatase enzymes. However most of alkaline phosphatase values are within the normal range for children. It has also been suggested the presence of so called “functional hypophosphatasia” in patients affected by renal osteodystrophy were normal alkaline phosphatase levels are coupled with high serum inorganic phosphate levels. In other words in these pathophysiological conditions no correlation exists between alkaline phosphatase activity and pyridoxal-5-phosphate concentrations. However in these conditions plasma levels of inorganic phosphate are also higher than normal suggesting that the main factor in decreased pyridoxal 5 phosphate concentration would be low phosphate concentration rather than high levels of alkaline phosphatase.
An emerging role in Pyrophosphate production has been recently attributed to Ectonucleotide Pyrophosphatase/phosphodiesterase 1 (NPP1), previously referred such as plasma cell membrane glycoprotein 1. This enzyme has been found in mineralizing tissues such as bones and teeth. Mutations in NPP1 cause the generalized arterial calcification of infancy due to inability of vascular cells to form pyrophosphate. Moreover, mutations in NPP1 have also been reported as a second cause of autosomal recessive Hypophosphatemic Rickets, the first being attributed to mutations in Dentin Matrix Protein 1 (DMP1). The role of NPP1 would be the hydrolyis from Adenosine Triphosphate (ATP) of Pyrosphosphate. NPP1 clearly has a role in PPi generation at the level of chondrocyte and osteoblast membranes, whereas at level of Matrix Vecicles NPP1 does not use ATP efficiently.
Another pathway for generation of pyrophosphate production is the secretion from cells by the transmembrane spanning cell surface protein Ankylosis Human homologue of the mouse progressive ankylosis protein (ANKH). Two autosomal dominant human diseases have to date been reported:
- Craniometaphyseal Dysplasia
- Chondrocalcinosis-2
Data conerning the possible presence of an autosomal recessive form linked to a mutation on exon 6 of the 12 exons constituting ANKH gene has to be clarified by further studies. Anyway ANKH protein seems to be important for mediating intracellular to extracellular channeling of pyrophosphate.
Interestingly another protein called Phosphatase PHOSPHO-1, first identified in chick as a member of the haloacid dehalogenase (HAD) superfamily of Magnesium dependent hydrolases, is expresed at levels 100-fold higher in mineralizing tissues compared to nonmineralizing ones. PHOSPHO-1 shows high phosphohydrolase activity toward Phosphoetanolamine (PEA) and Phosphocholine (PCho); it is active inside chondrocytes and osteoblast derived Matrix Vescicles. The role of PHOSPHO-1 is to maintain the concentration of inorganic Pyrophosphate (PP i) so that the ratio of inorganic phosphate to inorganic pyrophosphate would be permissive of a normal mineralization process. Inside Matrix Vescicles (MV) soluble phosphatase PHOSPHO-1 , with specificty for phosphoethanolamine and phosphocholine, increases the local intravescicular concentration of inorganic phosphate (P i) to change the Pi/PPi ratio in favor of precipitation of hydroxyapatite seed crystals.
In summary given the role of FGF23/Klotho pathway in inorganic phosphorus metabolism, as well’s of Vitamin D3 metabolites, more important role should be attributed to inorganic phosphate concentration that to enzymatic phosphatase activity for study derangements in bone mineralization.
ALP is found in nearly all plants and animals. In humans, four ALP isoenzymes are encoded by four separate genes. Three of these are expressed in a tissue-specific manner are they are called:
- placental
- intestinal
- germ-cell (placental-like)
- Tissue Non Specific
The fourth ALP isoenzyme is ubiquitous, but expecially abundant in hepatic, skeletal and renal tissues (liver/Bone/kiney ALP) and it is called tissue non specific ALP (TNSALP). Interestingly TNSALP is a family of “secondary” isoenzymes (isoforms), with the same polypeptide sequence, encoded by one gene (TNSALP) but different each other only by posttranslational modification involving a different glycosylation pattern (carbohydrate). TNSALP is located on chromosome 1p36.1-34 near the end of shot arm; the genes coding for placental, intestinal and germ-cells ALP are found near the tip of the long arm of chromosome 2q34-37. The TNSALP chromosome structure is represented by 12 exons, 11 of which are translated into a 507 aminoacid nascent enzyme. The promoter region of TNSALP is located within 610 nucleotides 5’ to the transcription start site and it contains TATA box and an Sp1 binding site acting as regulatory elements. It is believed that basal levels of TNSALP expression reflect inherent “housekeeping” promoter effects, whereas differential expression in various tissues should be mediated by a postranslational mechanism. Interestingly 5’ untranslated region differ between the bone and liver TSNALP isoforms. From phylogenetic point of view, the TNSALP should represent an ancestral gene, whereas the tissue-specific ALPs is likely originated from a series of gene duplications. Human ALP isoenzymes gene sequence indicates that the nascent polypeptide has a short signal sequence of 17 or 21 aminoacids residues and a hydrophobic domain at its c terminal site. The active site is coded by six exons and it is composed by 15 aminoacid residues with a nucleotidic sequence well conserved throught nature. ALPs is a metalloenzyme linking Zinc atom, the link of Zn++ atom stabilizes the tertiary structure. In summary the structure of these enzymes is formed to link a dinuclear metal cofactor structure so that a common cathalytic mechanism for enzymes involved in phosphotransfer reactions has been identified involving spin-coupled metal binding site formed by a scaffold structure at active metal linking site constituted by the same repeated tertiary spatial construct.
Β sheet – α helix - Β sheet - α helix - Β sheet
The 3 β strands of this structure form a parallel sheet that is capped by intervening α helices. Two metal ions are positioned at the apex of this fold forming a dinuclear metal center with 3.0 - 4.0 Ǻ between metal ions, with 4 of the metal ligands provided by residues in the loops between β sheets and α helices. ALP in E. Coli has been extensively studied and a Mg++ with a Zn-Zn dinuclear center reminiscent of the dinuclera metal site of seine/threonine phosphatase has been identified. In E.coli His 372 forms an hydrogen bond with Asp 327 , an aminoacid involved into didentate Zn stabilization) and it is thought to lower the pKa of the Zn atom involved to binding a water molecule. Cathalytic activity require multimeric configuration of identical subunits, each monmer having an active site and two Zn atoms. The role of Zn atoms is probably those of allowing the formation of a nucleophil reactant by hydroxyl group of serine residue located on cathalitic site, that attract the phosphoric group disrupting the esteric link. The mechanism of enzymatic reaction in ALP present in E. Coli has been elucidated for phosphate ester hydrolysis forming first an intermediate phosphoenzyme. In particular ALP of E. Coli cathalizes the transfert of phosphoryl group throught the formation of a transient link with a Serine residue located on active catalitic site. Later this phosphate group is released and the cathalitic site left free to react with anoter phosphoester group. If ALP in serum is present as a dimer with α/β topology with a 10 –stranded beta sheets in its center, ALP at membrane level is linked as a homotetramer. ALP is linked to plasmamembrane surface, through a polar head group of a phosphatidylinositol glycan and it can be released by a specific phospholipase. Intracellualr degradation of ALPs can involve proteasomal structures. Release from plasma membrane could involve phosphatidase C or D.
Clearance of circulating ALP, as for many plasma proteins is assumed to occur via uptake by the liver.
Whereas in children ALP plasma activity is mainly of bone origin and the remaining is of intestinal isotype; interestingly an old data report that blood type (0 and B are secretors) influences the level of placental isoenzyme of ALP in the blood after an ingestion of a fatty meal. In adult blood, ALP activity reflects equal amounts of hepatic and bone isotypes. Interestingly only recently on 2000 the crystal structure of placental isoform of ALP was isolated and studied on X ray crystallography.
TNSALP has a major role in two kind of reactions involved into mineralization process:
- Pyrophosphatase : hydrolizing pyrophosphate into two inorganic phosphate ions
- ATPase/ADPase: hydrolizing Adenosin triphosphate into Adenosin bisphosphate and one molecule of inorganic phosphate.
Accordingly TNSALP partecipates in the calcification process both by restricting the concentration of extracellular inorganic pyrophosphate PPi and by contributing to the inorganic phosphate (Pi) pool available for calcification.
ATP > ADP > AMP + 2 Pi
PPi > Pi
The working model in bone and cartilage supposed that bone mineralization is first initiated within the lumen of Matrix Vescicles (MVs). In a second time, hydroxyapatite crystals grow beyond the confines of the MVs and become exposed to the extracellular milieu, where they continue to propagate along collagen fibrils. Hydroxyapatite seed crystals are formed in the sheltered interior of MVs favored by the Pi-generating activity of PHOSPHO-1 fosfatase enzyme,as well’s by the transport function of Pyrophosphate (PPi) transporters, such as ANKH. The keys rate limiting step seems to be the ratio between Pi/PPi concentrations:
Pi/PPi > Mineralization
In other words an increased concentration of inorganic pyrophosphate (PPi) inhibits the crystalization process of hydroxyapatite, whereas increase increased concentration of inorganic phosphate ions (Pi) promote both crystalization and nucleation processes.
Human diseases characterized by an abnormal decrease or increase in ALP blood levels are called respectively:
- Hypophosphatasias
- Aphosphatasia
- Hyperphosphatasias or Paget disease of bone
- Familial Expansile Osteolysis
- Expansile skeletal Hyperphosphatasias
- Early onset Paget’s disease of bone in Japan
- Hereditary Hyperphosphatasia (Juvenile Paget’s disease)
Hypophosphatasia
In 1948 a Canadian pediatrician John Campbell Rathbun coined the term hypophosphatasia reporting a boy who developed and died from severe rickets with epilepsy, whose ALP activity in serum, bone and other tissues was paradoxically subnormal.
Present in all races, however this condition is expecially frequent in inbred Mennonite families from Mannitoba, Canada, where about 1 every 25 individuals is a carrier and 1:2500 newborns manifests severe disease.
Six forms of hypophosphatasias have been individuated, the earlier is the presentation of symptoms and more severe is the skeletal disease and the biochemical manifestations:
- Perinatal : autosomal recessive
- Infantile : autosomal recessive
- Childhood : autosomal dominant or recessive
- adult: autosomal dominant or recessive
- odontohypophosphatasia: autosomal dominat or recessive
- pseudohypophosphatasia
Laboratory findings include elevated values of phosphoethanolamine, pyridoxalphosphate, inorganic pyrophosphate.
Hypophosphatasia is a rare heritable disordercaused by a loss-of-function mutation in the ALP gene encoding for the tissue non specific alkaline phosphatase (TNSALP). It is characterized by deficiency in serum and bone alkaline phosphatse and defective bone and tooth mineralization.
Nearly all babies with perinatal hypophosphatsia die in utero or shortly after birth.
Those with infantile form present before 6 months of age with rickets, failure to thrive, or vitamin B6-dependent seizures, and approximately 50% die for respiratory failure because of poor lung development or progressive hypomineralization of the rib cage.
Adult hypophosphtasia typicaly manifests during middle age as recurrent, slowly healing metatarsal fractures, followed by painful nonhealing proximal femur fractures or pseudofractures.
The bone symptoms are highly variable in their clinical expression, which ranges from stillbirth without mineralized bone to pathological fractures developing only late in adulthood.
Odontohypophosphatasia is characterized by premature exfoliation of primary teeth with roots intact and/or several dental caries, not associated with abnormalities of the skeletal system.
Severe forms of the disease such as perinatal and infantile forms are transmitted as an autosomal recessive trait, whereas both autosomal recessive and autosomal dominant transmission may be found in milder forms, especially odontohypophosphatasia.
The tissue nonspecific ALP (TNSALP) gene is localized on chromosome 1p36.1 and it consits of 12 exons distributed ober 50 Kbases. More than 160 mutations have been described to date in the TNSALP gene. In North American, Japanese, and European patients, indicating a very strong allelic heterogeneity in the disease. This variety of mutations results in highly variable clinical expression and a great number of compound heterozygous genotypes with missense mutations that account for 82% of mutations. The remaining mutations are:
- missense mutations (82%)
- microlesions (11%)
- splicing mutations (4%)
- nonsense mutations (3%)
- a nucleotide substitution on major transcription initiation site
- a denovo mutation on heterozygous carrier of a missense mutation
The affected individuals carry one or two loss-of-function mutations within the TNSALP gene alleles. This experiment of the nature, inherited as either an autosomal dominant or autosomal recessive trait, reveals a crucial role for TNSALP in skeletal mineralization. There is no established medical treatment for hypophosphatasia. Augmenting circulating alkaline phosphatase activity into or even above the normal range for several months using intravenously administered ALP from various tissues sources has had no convincing beneficial effects. Also transplantation therapy with cultured osteoblasts and bone fragments was quite unsuccessful and experiments suggested that we must lower PPi at mineralization sites. Accordingly TNSALP activity must be increased at mineralization sites more than at plasma level.
Recently a recombinant fusion protein including TNSALP ectodomain, the constant region of IgG1 Fc domain, and the terminal deca-aspartate motif has been admnistered in 11 patients with perinatal or infantile forms of hypophosphatasia. Treatment was associated with healing of skeletal manifestations of hypophosphatasia as well’s with improvement in respiratory and motor functions. Improvement is still being observed in patients receiving treatment for more than 3 years.
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Thanks to Ivy for her support.