Monday, May 23, 2016

Metabolismo del collageno

       
   

Il termine collagene deriva da un termine inglese di circa 150 anni fa, indicante l'aspetto gelatinoso che assumevano il tessuto connettivo di quasi tutte le forme viventi, incluse il corallo e le anemoni di mare, se portate ad ebollizione. Questo dato dimostra l'importanza dal punto di vista filogenetico del collageno per gli esseri viventi multicellulari. 
Il tessuto connettivo è appunto il cemento che unisce differenti tipi cellulari a formare gli organi complessi che permettono la vita agli organismi pluricellulari.
I componenti fondamentali del tessuto connettivo sono la componente cellulare ( fibrociti e fibroblasti ) e la matrice extracellulare composta  dal collagene, da proteine non collageniche, e dai fattori di crescita in grado di modulare l'attività delle cellule circostanti.

Al momento esistono circa 28 tipi di collageno descritti nell'uomo.
La molecola del collagene è formata da una proteina la cui struttura primaria è caratterizzata dalla presenza di uno o più domini proteici che permettono di assumere la tipica conformazione spaziale della tripla elica. 
La " tripla elica " è in definitiva ciò che caratterizza le fibre collagene ed è determinata dalla presenza di una seguenza aminoacidica contenente la caratteristica tripletta:

                                                                X - Y - Gly

Dove la glicina è seguita in circa un terzo dei casi dalla Prolina ( X ) e dalla Idrossiprolina ( Y ). Ciascuna catena contenente tale struttura forma un'elica levogira. 
Ciascuna catena proteica o protomero forma un'elica levogira, è assemblata con altre due catene similari, in modo da formare una proteina a triplice elica destrogira per formare una molecola di pro-collagene. 
In tale molecola tripeptidica i residui di Glicina sono posti al centro della struttura a triplice elica, mentre i residui di Prolina e Idrossiprolina sono disposti in modo da esporre il loro radicale ( R ) lateralmente alla struttura aminoacidica ( CO-CH-NH ).
Pertanto prima di essere assemblato ciascun protomero deve venire sottoposto a reazioni di idrossilazione a livello del reticolo endoplasmatico rugoso dei fibroblasti. Qui sono presenti gli enzimi chiamati idrossilasi in grado di trasferire un ossidrile su un amni acido di Prolina o di Lysina. Avremo quindi :

4 Idrossi Prolina idrossilasi tipo 1 ubiquitario e tipo 2 presente nei condrociti, negli osteoblasti, nelle cellule endoteliali.
3 Idrossi Prolina idrossilasi è formata da un complesso enzimatico formato da Ciclofillina B, CTRAP, P3H1 ne esistono 5 isoenzimi, e la sua mutazione è responsabile di due forme ereditarie di Osteogenesi Imperfetta tipo 7 e 9.
Idrossi Lisina idrossilasi ne esistono 4 isoenzimi. Una rara forma di Osteogenesi Imperfetta tipo 8 è legata al difetto nella sintesi del tipo 1 ( LH1 ) telopetide lisil ossidasi chiamata anche Sindrome di Bruck. Il tipo 2 ( LH2 ) anche conosciuta come procollagene lisina 2 ossoglutarato 5 diossigenasi (PLOD-2) è stata identificata sul cromosoma 3. L'uso enzima tipo 3 ( LH3 ) è un enzima multifunzionale in grado di svolgere anche attività galattosil transferasica e glucosil transferasica. La preponderanza di aldeidi di idrossilisina a livello dei telopetidi del collagene osseo assicura che si formino legami stabili tra catene Alfa adiacenti. Nell'osso si forma idrossiallisina e ketoimine che danno origine ai legami crociati del Piridinio, nella cute l'allisina dà origine ai Pirroli.
Galattosiltransferasi 
Glucosiltransferasi 
Protein disulfide isomerasi agisce anche come subunità beta del tetramero prolil idrossilasi alfa2 beta2

Tali reazioni richiedono alfa cheto glutarato, ione ferroso, ossigeno molecolare ed acido ascorbico. L'utilizzo di alfa cheto glutarato è abbastanza insolito tra le idrossilasi, pertanto tali enzimi vengono anche chiamate 2 oxo glutarato Ossidasi.
Esse infatti non richiedono il gruppo protoemo come gruppo prostetico per legare la molecola di ossigeno. 
Tali enzimi sono in grado di legare lo ione ferrico all'ossigeno semplicemente con l'aiuto dei prodotti del Ciclo di Krebs ed in particolare dell'alfa cheto glutarato e l'Acido piruvico. 
Gli HIFs Alfa e Beta ( Hipoxia Inducing Factors ) sono regolati dalle 2 oxo glutarato deidrogenasi, il primo indotto dagli stati di ipossia tissutale, il secondo attivo in modo constitutivo nelle cellule. Pertanto possono essere considerati enzimi a basso consumo energetico, in grado di utilizzare i soli prodotti della glicolisi aerobica come donatore di energia.
Tali enzimi, localizzati nella matrice mitocondriale, catalizzano reazioni di decarbossilazione ossidativa del substrato keto-acido come l'Acido piruvico o l'alfa cheto glutarato. I fattori indotti dall'ipossia possegono dei siti che sono idrossilati da tali enzimi a livelli dell'aminoacido Prolina. L'idrossilazione ne stimola la degradazione proteosomica. Nei mammiferi tali enzimi entrano a far parte della sintesi del collagene e della biosintesi della carnitina.

Tutti i residui di lisina idrossilati vengono poi attaccati da altri enzimi che sono le glucosiltransferasi o le galattosiltransferasi. Tali enzimi possono agire sulla proteina solo se non è ancora in forma elicoidale  e più sono corti i peptidi sui quali agiscono più facilmente agiscono  sugli aminoacidi.
Sembra poi evidente che i ponti disulfuro interpeptidici si possono formare solo dopo che la struttura elicoidale del procollagene maturo si è assemblata a formare la tripla elica. La struttura elicoidale si può formare solo a livello dell'apparato del Golgi o del reticolo endoplasmatico liscio. Solo a questo punto potrebbero agire le protein disulfide isomerasi, enzimi in grado di formare ponti disulfuro tra le molecole di pro-collageno.
A livello extracellulare il pro-collageno è trasformato in collagene maturo con l'intervento di almeno due enzimi a livello extracellulare:
la procollageno aminoproteasi in grado di rimuovere gli aminopeptidi all'estremità N terminale del collagene ( ADAMs A Disintegrin And Metalloproteinase )
la procollageno corbossipeptidasi che rimuove l'estremità C-terminale con l'aiuto di calcio.


Le molecole di collagene maturo spontaneamente si assemblano in fibrille con le caratteristiche fisico chimiche e le esatte dimensioni di quelle osservate al microscopio elettronico.
Da un punto vista fisicochimico, la struttura ricca di Idrossiprolina preceduta da Prolina non idrossilata a elica levogira è essenziale per rendere stabile la proteina a triplice elica destrogira del collagene.
Dallo studio della nefropatia diabetica gli studiosi scroprirono che le molecole che formano il collagene maturo sono di tipi differenti e individuarono negli anni '60 le catene α1 e α2 che sono responsabili della formazione di molecole di collageno detto "Fibrillare".


Al momento attuale 6 tipi di molecole α sono state identificate, codificate dai rispettivi geni:
α 1 localizzato sul cromosoma  13q 21.3 - 22
α 2 localizzato sul cromosoma  13q 21.3 - 22
α 3 localizzato sul cromosoma.  2 q 35 - 37
α 4 localizzato sul cromosoma   2 q 35 - 37
α 5 localizzato sul cromosoma   X q 26 - 48
α 6 localizzato sul cromosoma   X q 26 - 48


                                                              Collagene fibrillare
Il collageno fibrillare è stato il primo ad essere scoperto dagli studi di Nageotte nel 1920 che in seguito alla descrizione istologica della natura fibrillare della matrice extra cellulare del tessuto connettivo dimostrò la sua insolubilità in acqua, ma la formazione di un agglomerato gelatinoso ( da cui prende il nome ) ma la sua solubiltà negli acidi. 
Con l'utilizzo della diffrazione ai raggi X e della microscopia elettronica tali fibre solubili in acido vennero identificate come molecole di collageno assemblate in uno specifico ordine di modo che ciascuna molecola di collagene era distante dalla seguente di 40 nm, ma si sovrapponeva lateralmente ad un'altra fibra di collagene per 300 nm. Inoltre ciascuna fibra di collagene era sfasata lateralmente con la vicina di 67 nm, in modo che una sorta di scalini della profondità di 67 nm si formavano tra una fibra di collagene e quella che scorreva parallela lateralmente.
La lunghezza di ciascuna fibra collagenica risultava quindi pari a circa 400 nm e si sovrapponeva per circa 1/3 della sua lunghezza a quella che scorreva parallela ad essa. 
Alla microscopia elettronica questa struttura era visivamente evidente dalla bandeggiatura di una struttura altamente organizzata del collageno di tipo I, dove ciascuna fibra era distanziata da quella che scorreva ad essa parallela di circa 100 nm ( 67 + 40 nm ), lasciando 300 nm della molecola di collagene sovrapposta a quella adiacente.

Ciascun protomero al polo N-terminale ha una tripla elica a 7S, seguito da una struttura collagenica a tripla elica nella porzione mediana della molecola, e finalmente al lato C-terminale da un trimero non-collagenico ( NCI ). La caratteristica più importante è l'interruzione della caratteristica tripletta Glicina-X-Y nelle porzioni C- terminali e N-terminali della molecola. Tale caratteristica permette alla struttura una volta assemblata flessibilità, permettendo di formare " looping e supercoiling ".

Ai collageni fibrillare appartengono i collageni tipo I , II , III , V , XI , XXVI , XXVII caratterizzati dalla struttura fibrillare microscopicamente descritta più sopra.
Il tipo I è formato da complessi eterotrimerici di 2 catene α1 e 1 catena α2 è presente per la maggior parte nel tessuto connettivo, e nel tessuto osso maturo. La mutazione spesso nei residui di glicina è responsabile di gran parte delle forme conosciute di Osteogenesi Imperfetta ( tipo 1, 2, 3 e 4 )
Il tipo II è formato da complessi homotrimerici di 3 catene α1 è presente nella matrice extra cellulare della cartilagine.
Il tipo III è formato da complessi homotrimerici di 3 catene α1 è presente associato all'elastina nel tessuto elastico.
Il tipo V è formato da complessi eterotrimerici di 1 catena α1, 1 catena α2, 1 catena α3 o una catena α4.
Il tipo IX è formato da complessi eterotrimerici di 1 catena α1, 1 catena α2, 1 catena α3.
Il tipo XXIV è formato da complessi homotrimerici di 3 catene α1, è presente nei centri di ossificazione delle ossa craniofaciali, degli arti e delle vertebre.
Il tipo XXVII è formato da complessi homotrimerici di 3 catene α1, è presente negli abbozzi cartilaginei degli elementi scheletrici.

                                         Collagene non fibrillare, o solubile o globulare.
Si identificano con tale termine le molecole di collagene facilmente solubili in acqua. Queste molecole sono state identificate in seguito agli studi su particolari malattie ereditarie come la Sindrome di Goodpasture e la Sindrome di Alport.
Nel 1927 Arthur Cecil Alport descrisse una sindrome caratterizzata da sordità sensitivo - neurogena in una famiglia che era pure affetta da nefropatia familiare, lenticono della capsula ottica anteriore, retinopatia, e talvolta ritardo mentale e leiomiomatosi.
La causa della Sindrome di Alport rimase sconosciuta fino al 1990 quando Trygvanson scoprì una mutazione nel gene che codifica per il Collagene tipo IV ed in particolare nel gene per la catena α5. Oggi più di 300 mutazioni in questo gene sono state identificate e tre forme geneticamente differenti della Sindrome di Alport sono state identificate rispettivamente legate a mutazioni dei geni che codificano per la catena α3, la catena α4, la catena α5 del collageno tipo IV.
Interessante notare che mutazioni eterozigoti per le forme di Alport α3 e α4 sono associate solo a piccole alterazioni della filtrazione renale che sono in grado di causare solo piccole anomalie della funzione renale.

La Sindrome di Goodpasture deve il suo nome ad Ernest W. Goodpasture che nel 1919, mentre serviva come Ufficiale Medico nella Marina Militare assegnato all'Ospedale Navale Chelsea, vicino a Boston, descrisse un paziente di 18 anni affetto da emorragia polmonare associata a glomerulonefrite rapidamente progressiva, e fatale; malattia che lo stesso Goodpasture attribuì ad una grave epidemia influenzale. 
Tale osservazione clinica venne trascurata finché Stanton e Tange la riscoprirono nel 1958 e le darono l'eponimo di Goodpasture.
Ora indicata l'associazione di vasculite e porpora polmonare associata a nefrite viene identificata con tale eponimo, qualsiasi ne sia l'eziopatogenesi. 
Conosciamo differenti meccanismi patogenetici che stanno alla base di tale associazione sindromica, tanto che si possono distinguere disordini immuno-mediati, malattie infettive e disordini vari. Tra questi ricordiamo:
anticorpi anti membrana basale glomerulare ( MBG ) o Malattia di Goodpasture

Sindromi di Goodpasture ( porpora polmonare e nefropatia )
la poliangioite microscopica ( con anticorpi antimieloperossidasi ANCA )
granulomatosi con poliangioite ( detta di Wegener - con anticorpi anti proteinasi-3 ANCA )
vasculite granulomatosa eosinofilica ( detta di Churg-Strauss )
porpora di Henoch-Schönlein
sindrome di Behçet
lupus eritematoso sistemico ( con ANCA, anticorpi antifosfolipidi, anticorpi anti membrana basale glomerulare )
nefropatia da IgA
crioglobulinemia mista IgG e IgM
tromboembolia polmonare con coesistente glomerulopatita membranosa
sindrome emolitico-uremica ( con glomerulonefrite trombotica microangiopatica ).

Sicuramente anche se la forma legata alla presenza di autoanticorpi diretti contro la membrana basale glomerulare è una delle forme meno comuni di tale sindrome, bisogna considerare questa forma per comprenderne l'importanza nella scoperta del collageno di tipo non fibrillare.
Lerner RA ( 1967 ) trasferì passivamente in primati anticorpi anti membrana basale glomerulare di pazienti affetti da malattia di Goodpasture e dimostrarono che da soli questi autoanticorpi potevano causare la malattia. 
In seguito il target di tali autoanticorpi venne identificato il tratto non colagenico-1 ( NC-1 ) della catena α3 del collagene tipo IV. Ulteriori studi rivelarono che il collagene di tipo IV è formato da una famiglia di tre proteine formate dall'associazione di tutte e sei le molecole di collegeno finora conosciute:
Collageno IVα1 o embrionale formato dall'associazione di 2 catene α1, e 1 catena α2
Collagene IVα2 o adulto formato dall'associazione di1 catena α3, 1 catena α4, e 1 catena α5
Collagene IVα3 formato dall'associazione di 2 catene α5 e 1 catena α6.
Le proteine del collageno tipi IVα1 all'estremità N- terminale ha numerose oligosaccaridi legati a residui di azoto, e numerosi disaccaridi lungo la struttura collagenica centrale vera e propria. Come accennato tale molecola è presente solo nel tessuto embrionale.
Al contrario il collagene tipo IVα2 possiede parecchi ponti disulfuro tra le varie molecole che lo compongono anche a livello delle porzioni N-terminali 7S che a livello N-terminale NC1, tali interazioni intramolecolari danno la tipica struttura alla molecola matura, che è tipica dell'organismo adulto ed è in grado di formare la rete extracellulare della membrana basale presente nell'organismo adulto.
Mentre l'associazione a livello del l'estremità N-terminale porta direttamente alla formazione della caratteristica tripla elica destrogira e alla susseguente associazione termino-terminale delle molecole di collagene, a livello dell'estremità C-terminale le strutture non collageniche formano legami tra due protomeri di collageno vicini in modo da formare un esamero NC1. La maggior parte degli esameri NC1 è rinforzata da nuovi ponti sulfiliminici che devono essere dissociati perchè si possano legare gli autoanticorpi.
Pertanto è opinione diffusa che gli autoanticorpi siano diretti contro gli esameri α3,4,5,NC1 presenti sia nella Sindrome di Alport sia nella Malattia di Goodpasture. Sarebbe la dissociazione di tali strutture esameriche presenti a livello dell'estremità C terminale della molecole di collagene tipo IV la causa scatenante la reazione immunitaria diretta contro i neo antigeni formatisi a livello della membrana basale.
La malattia di Goodpasture risulterebbe pertanto una "conformeropatia" vale a dire una malattia scatenata dal cambiamento di conformazione del collageno della membrana basale, come probabilmente altre malattie autoimmunitarie quale il Morbo di Basedow , il Lupus e l'Artrite Reumatoide.
Semplificando forse in maniera eccessiva le malattie del tessuto connettivo in genere, anche chiamate connettiviti o collagenopatie potrebbero essere riviste alla luce di quanto prima esposto come disordini del metabolismo del collageno, in grado di scatenare reazioni immunitarie con danno tissutale conseguente e deficit funzionale degli organi colpiti.






                                                             Bibliografia


Prockop DJ, Kivirikko KI, Tuderman L et al. The biosynthesis of collagen and its disorders ( First of two parts ). New Engl J Med 1979;301:13-23.

Prockop DJ, Kivirikko KI, Tuderman L et al. The biosynthesis of collagen and its disorders ( Second of two parts ). New Engl J Med 1979;301:77-85.

Spiro RG. Biochemistry of renal glomerular basement membrane and its alterations in diabetes mellitus. N Engl J Med 1973;288:1337-42.

Sykes B, Francis MJO, Smith R. Altered relation of two collagen types in osteogenesis imperfecta. N Engl J Med 1977;296:1200-3.

Uitterlinden AG, Burger H, Huang Q et al. Relation of alleles of the collagen type 1 alfa (I) gene to bone density and the risk of osteoporotic fractures in postmenopausal women. N Engl J Med 1991;338:1016-21.

Barnes AM, Chang W, Morello R et al. Deficiency of cartilage associated protein in recessive lethal osteogenesis imperfecta. N Engl J Med 2006;355:2757-64.

Barnes AM, Carter EM, Cabral WA et al. Lack of cyclophillin B in Osteogenesis Imperfecta ( IX ) with normal collagen folding. N Engl J Med 2010;362:521-8.

Hudson BG, Tryggvanson K, Sundaramoorthy M et al. Alport's syndrome, Goodpasture's syndrome, and type IV collagen. N Engl J Med 2003;348:2543-56.

Pedchenko V, Bondar O, Fogo A et al. Molecular architecture of the Goodpasture autoantigen in Anti-GBM nephritis. N Engl J Med 2010;363:343-54.

Salant DJ. Goodpasture's disease - New secrets revealed. N Engl J Med 2010;363:388-91.

Sunday, May 8, 2016

L'uso degli oppiacei nella terapia del dolore cronico non oncologico


          
  





Trattare il dolore è da sempre uno dei principali obbiettivi della professione medica e si può dire che dall'epoca di Ippocrate, il bravo medico si adoperava per prima cosa, per lenire dal dolore i propri pazienti, prima ancora di capire l'origine dello stesso.
La farmacologia e le tecniche chirurgiche hanno dato un importante aiuto all'opera del Medico nel tentativo di alleviare le sofferenze dei propri pazienti. Tuttavia l'uso dei farmaci antidolorifici per eccellenza gli opioidi, dopo essere stato per così dire avallato anche nel trattamento del dolore cronico non oncologico, tanto da produrre cambiamenti legislativi sulle modalità di prescrizione, viene ora messo in discussione specie nei Paesi Industrializzati per l'aumento dei casi di dipendenza, come dimostrano i recenti fatti di cronaca di " morti " eccellenti di personaggi del mondo dello spettacolo associate spesso all'uso di antidolorifici.

La valutazione dell'intensità del dolore mediante scale validate universalmente è il primo passo verso una scelta del giusto analgesico.
La scala VAS ( VISUAL ANALGOGIC SCALE ) costituita da una linea , lunga 10 cm, che visivamente rappresenta l'ampiezza del dolore. Tra le due estremità della linea corrispondenti a " nessun dolore " e " il più forte dolore immaginabile " abbiamo la possibilità di individuare differenti gradi intermedi. Il paziente deve indicare  sulla linea l' intensità del dolore avvertito. Richiede al paziente capacità visiva e motoria.

La scala di WONG-BAKER, costituita da una serie di disegni che raffigurano le espressioni del volto corrispondenti a diversi gradi del dolore ( sorridente, in lacrime ecc ). La scala è mostrata al paziente che deve indicare la faccia che a suo parere meglio esprime l'intensità del dolore provato.

La scala FLACC utile nei soggetti che per età, deficit motori, o deficit cognitivi non sono in gr,ADI di dare una valutazione soggettiva del dolore si ricorre ad una valutazione oggettiva di parametri come l'espressione del volto, il movimento delle gambe, la posizione del corpo, la presenza o meno del pianto, la consolabilità. Ad ognuno di questi 5 fattori si assegna un punteggio che va da 0 a 2. Dove 0 è il dato più positivo e 2 il dato più negativo. Il valore del punteggio complessivo ottenuto, scaturito dalla somma delle 5 valutazioni, quantifica l'intensità del dolore in base ad un punteggio da 0 a 10.
( FLACC : Face, Legs, Activity, Cry, Consolability )

La scala NOPPAIN utile nei soggetti che per età, deficit motori, deficit cognitivi non possono fornire una stima soggettiva del dolore si ricorre ad una stima oggettiva da altre di un operatore esterno. La scala utilizzabile soprattutto nei paziente affetti da demenza, valuta la presenza di comportamenti o comunicazioni verbali che suggeriscono dolore durante esecuzione di specifiche manovre assistenziali. Il punteggio totale varia da 0 a 55 e un punteggio superiore a 3 indica la presenza di dolore da sottoporre a un esame più approfondito.

La valutazione del dolore permette di scegliere i farmaci analgesici corretti relativamente a quelli a nostra disposizione.

Con gli anni '60 abbiamo assistito ad uno uso sempre crescente di farmaci antidolorifici dapprima gli steroidi, scoperti negli anni '50 e sintetizzati in laboratorio con svariata capacità antidolorifica e antinfiammatoria, ma gravati da importanti effetti collaterali di tipo metabolico. 

FANS
Altre molecole a struttura non steroidea antinfiammatorie ( FANS : Farmaci Antifiammatori Non Steroidei ) con attività antidolorifica sono state sintetizzate nei laboratori nell'intento di sollevare i pazienti dal dolore senza arrecare importanti danni. Tutti accumunati dallo stesso meccanismo d'azione, vale a dire dall'inibizione dell'enzima Ciclossigenasi ( COX ), che permette la trasformazione dell'acido arachidonico in prostaglandina H2. I FANS vengono anche classificati in base alla loro azione specifica sul tipo di Ciclossigenasi. Infatti esistono una Ciclossigenasi constitutiva (COX-1) ed una Ciclossigenasi inducibile in caso di danno tissutale ( COX-2). Tutti i FANS agiscono variamente su entrambi gli isoenzimi e il rapporto di inibizione (COX1/COX2) è un indice della loro azione antinfiammatoria.

Indolici come l' Indometacina fortemente gastrolesiva.
Fenilacetici come il Diclofenac forse tra i più utilizzati nella pratica clinica.
Fenamici come l'Acido Flufenamico e l'Acido Meclofenamico.
Acidi propionici come Ibuprofene, Ketoprofene, Naprossene. Sostanze assai efficaci e meglio tollerate a livello gastrointestinale. Assorbiti rapidamente a livello orale sono secreti per via renale. L'ibuprofene è in genere considerato quello meno gastrolesivo.
Pirazolonici come la noramidopirina o metamizolo, gravato da importanti interazioni farmacologiche con antidiabetici orali, antipertensivi e diuretici.
Oxicam come il piroxicam, meloxicam, lornoxicam che necessitano di una sola somministrazione giornaliera.
Nimesulide molto attivo in particolare per i tessuti molli, ma gravato da notevole epatotossicità, qualora si superi il dosaggio raccomandato di 100 mg al dì
Salicilati come l'Acido acetilsalicilico che oltre a possedere un effetto antinfiammatorio, antidolorifico è pure un potente antipiretico e un buon anti aggregante piastrinico a basse dosi pari anche a 75-100 mg al dì. L'effetto antinfiammatorio invece si esplica a dosi pari a 1 gr al giorno.
COXIBs: farmaci altamente selettivi per la COX-2, sono stati messi sul mercato farmaceutico circa 10 - 15 anni or sono due molecole con indicazione nel trattamento principalmente del dolore osteoarticolare in particolare nell'artrosi, nell'artrite reumatoide, nella spondilite anchilosante, nella gotta. Essi sono il celecoxib e etoricoxib.


I FANS sono tuttavia gravati da importanti effetti collaterali quali disturbi a carico dell'apparato digerente come epigastralgie, nausea, ulcere gastroduodenali. L'uso dei FANS pertanto richiede l'utilizzo concomitante di farmaci inibitori di pompa protonica, gli unici antiacidi ad essere validati per tale utilizzo, cosa che non è stato dimostrato per gli anti-istaminici come la ranitidina e la famotidina. Inoltre possono creare danno ai pazienti affetti da malattia infiammatoria intestinale cronica. A livello renale bloccando le prostaglandine E2 riducono la perfusione renale portando ad insufficienza renale. I FANS sono inoltre associati ad aumentato rischio cardiovascolare, per i COXIBs con un aumento del rischio di infarto miocardico, riducendo l'effetto dei farmaci antipertensivi, dei diuretici, oltre ad aggravare il grado di insufficienza renale. Oltre a tossicità epatica, tali farmaci sono gravati dalla possibile comparsa di eruzioni cutanee, come prurito, rash, orticaria.
Particolare cautela è richiesta poi nell'uso di tali farmaci nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali, sia per l'aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale, sia per lo spiazzamento degli anticoagulanti dal legamento proteico con variazioni dell'INR non prevedibili.
I FANS hanno invece il loro maggior utilizzo in tutte quelle manifestazioni a carico dell'apparato muscolo-scheletrico sostenute dalla presenza di fenomeni di tipo infiammatorio. Possono essere utili inoltre per sedare dolori post-partum, in seguito a piccoli interventi pstchirurgici, in caso di cefalee, dolori mestruali, odontalgie.
Alcuni prodotti per via iniettiva come il Diclofenac, il Ketoralac trovano impiego anche nel dolore di origine postraumatica, postoperatorio, o da spasmo della muscolatura liscia come nelle coliche renali.

PARACETAMOLO
Per tali motivi l'anti dolorifico per eccellenza è da considerare il Paracetamolo o acetaminofene le cui spiccate azioni analgesiche, e antipiretiche, conosciute da oltre un secolo, hanno un buon profilo di efficacia e tollerabilità tale da renderla una delle molecole ore più utilizzate al mondo in tale categoria farmacologica.
Il Paracetamolo ha un ottimo assorbimento per via orale e le numerose formulazioni farmacologiche disponibili in commercio, inclusa quella parenterale disponibile solo per uso ospedaliero come pro-paracetamolo, fa di tale farmaco la molecola di prima scelta nel trattamento del dolore cronico lieve moderato.
Il Paracetamolo ha in comune con i FANS l'effetto antidolorifico e antipiretico, ma non l'effetto antinfiammatorio, e la sua azione si esplica principalmente a livello del sistema nervoso centrale, nelle vie neuro regolatrici delle afferenze doloriche, dove interferisce con le vie degli oppioidi e della serotonina.
Dal punto di vista farmacocinetico raggiunge la sua concentrazione massima nel plasma dopo 30-60 minuti e ha una emivita plasmatica di 2 ore. Il dosaggio massimo consigliato è di 4 grammi al giorno suddiviso in 4 dosi di 1 grammo ciascuna. 
Per l'FDA la soglia di epatotossicità del farmaco è ben al di sotto dei 4 gr, intorno ai 3 gr, dove è possibile già evidenziare la presenza di epatotossicità, tale da indurre " necrosi epatica fulminante " caratterizzata da nausea, vomito, dolore addominale, ed aumento delle transaminasi, della bilirubina specie in soggetti dediti all'alcool. Come antidoto in tali casi è di norma utilizzata l'acetil cisteina anche per via orale, in grado di risolvere e ripristinare la funzionalità epatica danneggiata da un uso occasionale di paracetamolo.


Farmaci adiuvanti
Nel dolore cronico lieve-moderato vengono utilizzati spesso in associazione farmaci adiuvanti. Questi ultimi sono farmaci che agiscono in presenza di modificazioni della fibra nervosa periferica come la Carbamazepina e l'oxcarbamazepina ( nella nevralgia del trigemino ), gli antidepressivi triciclici, gli anestetici locali come la lidocaina.
Farmaci che agiscono in presenza di sensibilizzazione dei neuroni spinali per afferenze nocicettive e riduzione dei sistemi inibitori come i gabapentinoidi ( gabapentin e pregabalin ), clonazepam, antidepressivi triciclici e non.
Farmaci che agiscono in presenza di flogosi delle vie nervose dove il ruolo dei recettori periferici delle piccole terminazioni nocicettive del perinervio hanno grande importanza. Questi sono i corticosteroidi.

Oppiacei
Da sempre è comune convinzione che i pazienti affetti da dolore persistente di natura non oncologica e sottoposti a trattamento con oppiacei, dovessero inevitabilmente sviluppare una dipendenza.
Tale convinzione venne messa in dubbio negli anni '60, quando alcuni studiosi evidenziarono che, in presenza di benefici accettabili, i rischi di una tossicodipendenza in seguito a trattamento con oppiacei erano minimi o pressoché nulli.
Tale ipotesi venne avvalorata da studi di ricerca di base sul dolore cronico non oncologico  Tali studi dimostravano che l'uso medicale degli oppiacei non creava dipendenza qualora fosse presente dolore. Infatti, se in situazione di dolore si somministra un oppiaceo, questo di lega tutto sui recettori siti nel corno dorsale del midollo pronti a modulare l'input doloroso; in caso contrario l'oppiaceo va a interferire sul sistema dopaminergico a livello del nucleo accumbens con il rischio di innescare meccanismi che portano alla tossicodipendenza.
Il loro utilizzo è stato ampiamente rivisto recentemente è regolamentato dalla Legge 38 che permette la prescrizione di farmaci oppiacei, utilizzati per la terapia del dolore su ricettario del Servizio Sanitario Regionale, per un fabbisogno di 30 giorni, con l'avvertenza di identificare lo stato di necessità del paziente con la sigla TDL ( Terapia Del Dolore ).

Il dolore cronico non oncologico ( CNCP ) di origine neuropatica o propriocettiva è una sorgente di importante morbidità. Il dolore cronico non oncologico è presente in seguito ad interventi di chirurgia maggiore, come l'impianto protesico di ginocchio o di anca ( dal 10 al 50% dei pazienti ) in circa l'8,2% dei diabetici. La lombalgia ( 15% degli USA ), l' osteoartrite sono due cause molto comuni di dolore cronico non oncologico.

                                    
Localizzazione dei recettori Mu per gli oppioidi.
Tali recettori sono localizzati nel cervello umano principalmente nel talamo, nella sostanza grigia periacqueduttale, nell'insula, nel giro cingolato anteriore dove sono coinvolti nella percezione del dolore. Al contrario nell'area tegmentale ventrale e nel nucleo accumbens tali recettori sono coinvolti nella sensazione di ricompensa e benessere. A livello dell'Amigdala sono implicati nella reattività emotiva al dolore, mentre nel midollo allungato regolano il centro del respiro. A livello delle corna posteriori del midollo estinte la più alta concentrazione dei recettori Mu per gli oppioidi e qui modulano la percezione del dolore, mentre a livello del piccolo intestino regolano la motilità intestinale.

Gli analgesici oppiacei sono ampiamente usati nel trattamento di tale tipo di dolore mentre effetti collaterali a breve termine includono la sedazione, declino cognitivo, depressione respiratoria, l'overdose, la dipendenza farmacologica, pertanto è importante che la prescrizione di opioidi sia adeguata alle necessità di ciascun individuo.
Tuttavia mentre gli analgesici oppioidi sono in grado di alleviare il dolore non oncologico acuto senza causare danni, il beneficio di tali farmaci nel trattamento del dolore cronico non oncologico non ha ancora chiare linee guida di consenso sul loro utilizzo.

Due fattori sono universalmente evidenti:
Gli analgesici oppioidi sono ampiamente e impropriamente prescritti, tanto che il loro uso ha creato negli USA una epidemia vera e propria di morti da overdose e dipendenza da oppiacei.
La principale fonte di tali farmaci oppioidi sono le prescrizioni mediche.
Per tali motivi le associazioni mediche hanno iniziato a porsi il problema di regolamentare la loro prescrizione, in particolare per quanto concerne la terapia del dolore cronico non oncologico.
Non sembra affatto universalmente accettato che la presenza di dolore protegga i pazienti dallo sviluppare dipendenza dall'utilizzo farmacologico di oppioidi. Studiosi hanno dimostrato che la prescrizione di medicamenti contenti oppiacei per il dolore acuto è la maggior fonte di misuso di farmaci.


Gli oppioidi differiscono per la loro affinità e selettività di legame per i recettori Mu, in quanto possono levare anche i recettori kappa e delta o anche a recettori per altri neurotramsmettitori. L'effetto degli oppioidi, in particolare modo quello esplicato sul nucleo accumbens e nell'area tegmentale ventrale che sono responsabili della sensazione di ricompensa e benessere , sono maggiormente accentuate quando i farmaci sono rilasciati rapidamente a livello cerebrale. Per tale motivo la FDA ha incoraggiato e approvato formulazioni che evitino l'uso iniettivo delle formulazioni farmaceutiche di oppioidi.

Molti medici non distinguono tra dipendenza fisica e psichica. La prima è dovuto al fenomeno della tolleranza farmacologica è legata alla down regalati in recettoriale  dei recettori a livello intracellulare.
La dipendenza psichica c'è solo in una piccola parte dei soggetti esposti agli oppioidi, si sviluppa lentamente non termina semplicemente smettendo di utilizzare gli oppioidi, ma ci può essere un elevato rischio di ricaduta anche per parecchi anni senza adeguato trattamento.
Noi non siamo in grado di conoscere la dose totale di oppioidi in grado di dare dipendenza psichica, ma sappiamo che il rischio di procurarla varia sostanzialmente tra le persone, che la variabilità genetica rende conto almeno del 35 - 40% del rischio associato alla dipendenza psichica e che gli adolescenti sono a maggior rischio di svilupparla in quanto il loro cervello ha ancora una elevata neuroplasticita e il loro lobo frontale non ancora del tutto sviluppato ( parte del cervello necessaria per un autocontrollo adeguato ).
Pertanto il rischio di sviluppare dipendenza da oppioidi negli adolescenti è maggiore che negli adulti.

Per molto tempo si è pensato che la presenza di dolore fosse sufficiente per evitare la dipendenza da oppioidi. Tuttavia studi epidemiologici hanno dimostrato che la dipendenza psicologica da oppioidi in pazienti affetti da dolore cronico non oncologico sia possibile e presente.
È quindi necessario attuare sforzi per prevenire l'emergenza di dipendenza iniziate durante il trattamento da parte di medici di medicina generale. È necessario quindi valuatare attentamente il rischio di dipendenza farmacologica con opportune scale di valutazione. Monitorare regolarmente sulle urine la concentrazione dei farmaci ed inviare ai centri di terapia del dolore tali soggetti, considerati a rischio.
Si suggerisce pertanto di non superare le 8 settimane di trattamento con oppioidi per pazienti affetti da dolore cronico non oncologico, tenere conto che aumentando il dosaggio ( > 100 MME ), la durata e forse l'uso di opioidi a lunga durata d'azione può facilitare l'insorgere a di dipendenza.








Per ottenere la dose equivalente alla Morfina dei comuni opioidi:

Buprenorphine cerotti                 MME  x 12,6
Buprenorphine cp                       MME. x 10
Codeine                                    MME x 0.15
Dihydrocodeine                          MME X 0,25
Fentanyl cerotti.                         MME x. 2,4
Fentanyl ev.                               MME x 100
Fenatnyl os.                               MME x 0,13
Hydrocodone.                             MME x 1
Methadone.                                MME. x 3
Oxycodone                                 MME. x 1.5
Pentazocine.                               MME x 0,37
Tapentadolo.                               MME. x 0,4
Tramandolo.                                MME. x 0,1


Bibliografia

Volkow ND, McLellan AT. Opioid abuse in chronic pain -  Misconception and mitigation strategies. N Engl J Med 2016;374:1253-63.

Kornetsky C, Bain G. Morphine: single dose tolerance. Science 1968;162:1011-2.

Who take care about that?

Followers